RE’VIEW: SYML, “Nobody Lives Here” (recensione album)

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15 Maggio 2025 di Fabrizio Re'Volver Daquino

Ci sono album che si ascoltano. E poi ci sono quelli che si sentono addosso, come un ricordo che non si riesce a scrollarsi di dosso. “Nobody Lives Here”, il terzo lavoro di SYML, appartiene a questa seconda categoria. Un disco che non urla, non si impone, ma si insinua piano, con delicatezza disarmante, e ti costringe a fermarti. A respirare. A sentire.

Brian Fennell – perché SYML è lui, solo lui – torna con un’opera completamente auto-prodotta, che ha la sincerità cruda di chi ha deciso di non nascondersi più. Registrato in solitudine, spesso con i figli che giocano nella stanza accanto e i cani che girano per casa, “Nobody Lives Here” è il suono di una vita reale che cerca di trovare poesia nel dolore.

La prima cosa che colpisce è quanto spazio ci sia nel suono. Le canzoni respirano. “A100”, l’intro, è quasi una porta che si apre su un luogo interiore. E da lì inizia il viaggio: “Careful” è una preghiera sussurrata, un consiglio a trattarsi con gentilezza, a non precipitare nel giudizio. “Heartbreakdown” ha quella malinconia che ti accompagna nei giorni più fragili, quando la tristezza non è più un nemico, ma una vecchia compagna.

E poi arriva “The White Light of the Morning”, il cuore dell’album. SYML racconta che è nata da un sogno in cui riviveva l’ultimo incontro con suo padre, in un luogo bianco, sospeso, fuori dal tempo. È impossibile non commuoversi: ogni parola sembra scelta con una cura quasi sacra, ogni nota un abbraccio che manca.

Nobody Lives Here” parla di vuoti. Di case senza più voci, di relazioni che non esistono più, di parti di noi che abbiamo perso per strada. Ma, sorprendentemente, non è un disco che ti lascia a terra. Anzi, riesce a essere terapeutico. Come se, nella sua sincerità, ci dicesse: “Sì, fa male. Ma non sei solo”.

SYML canta spesso in falsetto, e quel timbro fragile sembra venirti a cercare nel punto esatto in cui tieni nascosto il dolore. Ma la produzione – seppur minimale – è sofisticata: pianoforte, violoncello, chitarre slide, cori sussurrati. Tutto è studiato per lasciare spazio all’emozione, mai per impressionare.

Non è un disco per tutti i momenti. “Nobody Lives Here” va ascoltato quando hai bisogno di silenzio. Quando vuoi sentire qualcosa di vero. È musica per chi ama la delicatezza, per chi ha vissuto una perdita, per chi cerca una bellezza che non sia perfetta ma autentica. Un album da ascoltare a luci spente.

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