“The Architect“, il quarto disco di Paloma Faith, inizia con un intro recitato dall’attore Samuel L. Jackson che dice “Non aver paura dell’evoluzione, il tempo è adesso”. Paloma stessa definisce il nuovo progetto come un “album di osservazione sociale“. Mossa coraggiosa da parte dell’artista nel focalizzarsi più sull’aspetto politico attuale piuttosto che sulle canzoni d’amore che hanno caratterizzato fin’ora i tre lavori precedenti a questo. Ma ciò non basta per fare di un disco, un buon disco.

A poco è valso l’intervento di Sia nella stesura di “Warrior” che non rende comunque giustizia ad un progetto pieno di banalità e di canzoni tirate giù forzatamente. Nulla da ridire sull’impegno vocale di Paloma, sempre impeccabile e di primo livello. Non si può dire lo stesso della produzione artistica dei pezzi. Anche il duetto con John Legend in “I’ll be Gentle” poteva essere sfruttato al meglio, invece di ottenere un risultato finale che passa in secondo livello. L’ascolto distrae, le melodie non si incollano addosso all’ascoltatore ed è una grave pecca, perché Paloma Faith ci aveva abituati a brani come “Stone Cold Sober” e “Do You Want the Truth or Something Beautiful?” che, personalmente, spero di poter ritrovare in un futuro lavoro della cantante.

Tutto si riduce a cori gospel malinconici, influenze pop-soul anni ’90 e frasi da Baci Perugina come “Abbiamo tutti bisogno di un po ‘di gentilezza / Tutta questa crudeltà è così insensata”. Poteva essere l’occasione per Paloma Faith di piazzarsi una volta per tutte nella lista delle migliori cantanti pop britannici, e invece è solo l’ennesimo teatro delle banalità, uno dei tanti che circolano in giro negli ultimi anni. Sarà per la prossima volta, spero.

🌟🌟 2/5