RE’VOLVER INTERVIEW: intervista a Cmqmartina, nuova promessa dell’elettro-indie italiano

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23 marzo 2020 di Fabrizio Re'Volver Daquino

Ha vent’anni, viene da Monza ed ha pubblicato di recente il suo primo album intitolato “Disco“. Ispirata dalla musica tecno, dalle discoteche e i centri sociali, Cmqmartina mi ha raccontato in questa intervista come è nata l’idea del progetto e dei pro e i contro che possono esserci al giorno d’oggi per una giovane artista indipendente.
– Iniziamo subito dal titolo dell’album, “Disco”. Mi vengono subito in mente (guardando anche la sua copertina) la movida notturna, il club, le piste da ballo. Cosa rappresenta invece per te questa parola?
“Mi è venuto proprio naturale chiamare il mio primo lavoro DISCO. Paradossale per una come me che dà un nome a tutto: alle biciclette, alle piante o alle scarpe. Pensai: e adesso? Come si chiama? Non mi interessava, ero presa bene, stavo bene, ero soddisfatta del lavoro e non mi importava del nome. Un’amica poi ironicamente mi consigliò di chiamarlo DISCO ed era perfetto. Di discoteca e sì, hai proprio ragione, dentro ci sono le storie della movida notturna, dei club che ho frequentato, delle piste su cui ho ballato”.
– Come è nato questo progetto? Chi era Martina prima di questo album di esordio?
“Il progetto è nato quasi per gioco con un amico, Matteo Brioschi, che ha prodotto DISCO. Matteo mi chiedeva sempre di lavorare a qualcosa insieme, ma io gli dicevo sempre di no, ero pigra e ignara del nostro potenziale insieme. Prima del progetto ero una ventenne di Monza molto semplice: andavo in università (per poco), passavo i pomeriggi al parco e le serate a Milano. Ora mi sono trasferita un po’ lontano dal mio nido, a sud della Liguria, devo ritrovare la mia dimensione post-disco. Non sono tanto diversa da quella che ero prima. E’ stato sicuramente terapeutico lavorare a questo disco, quindi sono solo un po’ più felice e mi sono capita un po’ di più”.
– Le nove tracce che compongono “Disco” attingono tutte da una forte influenza nella house music nordeuropea. Come ti sei avvicinata ad un genere musicale ancora poco esplorato nella nostra lingua?
“Una sera ho scoperto le discoteche, i centri sociali e la musica elettronica. Mi ci sono fissata e ho provato ad approfondire il più possibile il genere fino a quando io e Matteo (con cui andavo molto spesso a ballare) ci siamo detti “ok, proviamoci noi”. Partendo dalle sue influenze e conoscenze musicali e dal mio gusto personale e dalla fissa per la tecno ci siamo dilettati nel fare pezzi in cui lui si occupava della produzione e io dei testi. Sembrava che piacessero, sicché ci abbiamo fatto un disco intero, cavalcando quell’onda. Comunque è vero che è un genere musicale poco esplorato nella nostra lingua, ciò che ascolto è per lo più francese o tedesco. Mi piacerebbe tanto portarlo nella nostra madre patria”.
– Molti ti definiscono la versione femminile di Cosmo. Un paragone del genere come lo vedi? Ti da fastidio essere paragonata a qualcun’altro?
“Non amo particolarmente i paragoni, li trovo riduttivi dal momento in cui un artista costruisce il suo lavoro in modo profondo e personale, ma so anche che è naturale trovare delle somiglianze tra progetti per facilitare la comprensione di questi. Un altro conto è quando sono solo “la brutta copia di Cosmo”… mi è stato detto più volte e questo mi dispiace, perchè non lo trovo vero. Comunque non esiste solo Cosmo che fa musica elettronica in Italia – è sicuramente il dio e chi mi conosce sa quanto lo amo –  ma inizia a muoversi qualcosa oltre a lui per quanto riguarda questo genere. Comunque, spero che lui non venga mai a sapere della mia esistenza. In caso contrario si sarà anche stufato di sentire che sono una sua copia”.
– Come vedi il panorama musicale italiano attuale?
“Questo panorama musicale italiano è molto vasto e vario, per fortuna. I grandi artisti che hanno fatto la storia sono ancora ascoltatissimi, c’è chi va di moda e agli opposti c’è una rete di artisti emergenti (di cui sento di far parte) che unita si sta facendo strada. Tra l’altro in Italia abbiamo un sacco di festival di musica meravigliosi, da nord a sud, che danno la possibilità ai più grandi e agli emergenti di suonare, che fortuna”.
– Non pensi che si stia abusando un po troppo del termine “Indie”?
“Trovo che l’Indie ormai sia diventato un genere a se stante. E io l’ho ascoltato tanto. Comunque non è un male, che nascano nuovi generi, che nasca nuova musica! Giustamente essendo nato da pochi anni se ne parla tanto, è stata (e forse lo è ancora un pochino) una vera moda nella musica”.
– Quanto è stato difficile riuscire ad emergere e farti notare come artista in mezzo ad un’industria discografica ormai satura di talent show?
“Io non è che sono emersa o mi sono fatta notare…mi sento ancora piccola piccola in questo mondo. Per ora sta andando tutto bene perchè DISCO sembra piacere e perchè dietro le quinte del progetto c’è un’equipe pazzesca di persone che lavora molto e che mi rimette in riga quando non lo sono più. Comunque penso che i talent abbiano dei meccanismi interni propri e che paradossalmente sia ancora più difficile emergere per mezzo di loro, nonostante si abbia l’inizio carriera spianato la parte complicata è farla durare”.
– Tornando a parlare del tuo album, qual è il pezzo al suo interno che più ti rappresenta?
“E difficile, tutti i pezzi mi rappresentano a pieno. Ma quello a cui sono più legata in assoluto è Le cose che contano, è una sorta di crisi esistenziale, è parte di un dolore che ho provato ultimamente che riguarda me in rapporto al mondo esterno, la mia concezione di me stessa, il bene che mi voglio e le colpe che mi sono data; la rabbia che ho provato guardandomi allo specchio, il momento in sono caduta e mi sono resa conto di chi e cosa contava essenzialmente nei miei venti anni. C’avevo una malinconia mentre la scrivevo e un’incazzatura pienissima mentre la cantavo. Infatti nel ritornello l’ho urlata e ho fatto note alte, ora non so come farò a cantarlo live. Qualcuno dovrà farmi arrabbiare”.
– Nel brano “Le cose che contano” ad un certo punto dici “Farò come sempre / vivere in adorazione / tranne che di me”. Mi ha colpito molto questo passaggio, vuoi parlarcene?
“Ecco, appunto. Questo è un punto fondamentale del pezzo tanto quanto lo è nella mia vita. Ma credo di aver già detto abbastanza prima!! Se non mi sono spiegata bene è perchè è un po’ difficile ripassare sopra alcuni ricordi :)”.
– Ascoltando i testi che scrivi sembra che tu ti sia data una bella sfogata. Ti sei tolta qualche sassolino nella scarpa con qualcuno?
“Sicuramente mi sono sfogata, sì. Ma più con me stessa, che con altre persone”.
– Alla fine del disco troviamo una cover molto particolare de “La prima cosa bella” di Nicola di Bari. Un successo della canzone italiana degli anni settanta in un album di musica alternativa di una giovane ventenne. Sono curioso, mi tocca chiederti da dove arrivi questa scelta.
“La prima canzone del progetto che è stata pubblicata è Lasciami andare!, dove nella seconda strofa canticchio “ho preso la chitarra, la senti questa voce?, i prati sono in fiore” Sono le prime tre frasi delle prime tre strofe de La prima cosa bella di Nicola Di Bari, una delle canzoni preferite di mia nonna che mi ha sempre cantato e che mi canta tuttora. Io la amo tanto e ho voluto chiudere il disco con una versione diversissima dal resto del disco, questo perchè lei forse fa un po’ fatica a concepire il linguaggio e il genere che faccio. Ho voluto che alla fine di tutto quel fracasso trovasse qualcosa in cui ritrovarsi. E poi è una canzone meravigliosa un pochino dimenticata che merita di essere riportata in vita”.
– Dove porterai la tua nuova musica? Farai un tour?
“Spero di poter suonare il più possibile. Per ora ho qualche dato, qualcuna già annunciata e qualcuno in un po ‘segreta … Ma è ancora tutto da organizzare, cercando di capire come si evolverà l’emergenza Covid-19. Nel tempo lavoro qualcosa di nuovo, questo tempo a casa è prezioso”.

 

 

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