RE’VIEW: London Grammar – “Californian Soil” (recensione album)
Lascia un commento12 Maggio 2021 di Fabrizio Re'Volver Daquino
La band indie di Nottingham torna con il loro terzo album. “Californian Soil” è il disco più fresco, vivace e determinato che il trio abbia mai inciso.

Il terzo album dei London Grammar segna un vero punto di svolta per il gruppo. Dal punto di vista musicale, è senza dubbio il più ottimista e positivo che abbiano mai composto, ma a piantare la bandiera sul terreno questa volta è la cantante Hannah Reid che conquista il ruolo di leadership. Elemento non di poco conto, visto che la Reid negli ultimi anni in cui è entrata a far parte della band ha dovuto sopportare innumerevoli casi di misoginia dell’industria musicale, con manager che non la prendevano sul serio, abiti che era costretta ad indossare, emozioni che non poteva esternare per non essere considerata irrazionale e commenti non richiesti sul suo aspetto fisico.
Ed è grazie a questo atteggiamento libero che la cantante, dopo essersi nascosta dietro le sonorità cupe del precedente disco del 2017 “Truth is a Beautiful Thing“, è riuscita a riflettersi nella creazione musicale, rendendo la scrittura molto più vulnerabile e regalandoci testi onesti e diretti. La vediamo affrontare relazioni tossiche (“Lord It’s a Feeling“), rotture (“How Does It Feel“) e la fine del sogno americano (“America“), senza mai abbandonare totalmente la sua visione romantica della vita.

Sul piano sonoro, “Californian Soil” spiazza per la sua audacia nel contaminare strumenti e produzione elettronica, passando per diversi stili e ritmi. Grazie anche all’aiuto del produttore britannico George Fitzgerald, il trio mescola abilmente l’R&B degli anni 2000 con l’ambient pop (“Missing“), fino a raggiungere nuovi livelli di vibrazioni trip hop (“I Need the Night“). Con “How Does It Feel”, Reid e compagnia bella coinvolgono Steve Mac (co-autore di Ed Sheeran) nella realizzazione del brano più pop tutto il loro repertorio. Un rischio enorme, ma il risultato è comunque gradevole e la rende perfetta per riscaldare il pubblico ai prossimi festival. Nonostante gran parte del disco sia impregnato di energia e di frizzanti momenti notturni, ci pensano “Californian Soil” e “America” con il loro taglio rock e le chitarre scure, a ricordarci il lato più emotivo dei London Grammar. Menzione particolare va all’intro: un’introduzione potente dall’ampio respiro tolkieniano che vale la pena non skippare.
Per la prima volta dal loro esordio, la band si è presa la libertà di esprimersi oltre i confini del proprio sound, dando vita a quello che finora è il loro lavoro più ricco e avventuroso.