RE’VIEW: Robyn – “Honey” (recensione album)

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28 ottobre 2018 di Fabrizio Re'Volver Daquino

Sono passati otto anni dall’ultimo disco di Robyn, Body Talk. E otto anni, nel panorama della musica pop, sono parecchi. Il pubblico ha la memoria corta e tende troppo facilmente a distrarsi con nuovi artisti pronti a confonderci le idee con canzoncine usa e getta. La macchina divoratrice del business discografico non ha tempo da perdere. Ma Robyn se n’è sempre infischiata delle regole, prendendosi i suoi tempi e suoi spazi per registrare nuova musica. E la lezione da imparare in questo caso è che le pizze a maggior lievitazione sono sempre le più buone da digerire.

C’è una cosa che accomuna Robyn alla musica degli ABBA: raccontare i propri fallimenti e i dolori nelle relazioni con l’indifferenza e la freddezza della musica dance. Lontano mille miglia dalle ritmiche scala classifiche del suo predecessore, questo disco si sveste di tutte le infrastrutture delle iperproduzioni del pop, mantenendo pur sempre l’elemento dance-vintage degli album di Robyn. L’impressione è di ritrovare la cantante con una maggiore consapevolezza della sua sensualità, meno aggressiva e più morbida insomma. I sintetizzatori suonano più come rumori da contrasto alla melodia, invece che essere essi stessi la melodia. Un album meno caotico e più lineare dei precedenti con una quiete sonora inedita.

Il pezzo migliore in Honey è probabilmente Because It’s in the music, un brano che sembra essere l’immagine inversa di Dancing on my own. Su Baby Forgive Me, la sua voce è infestata da un’ombra elettronica sinistra e off-key. Da qualche parte in lontananza c’è il suono attutito di un pubblico che applaude: c’è una cura dei suoni a dir poco disarmante. Il disco si chiude con la mia traccia preferita, Ever Again, dove l’inconfondibile riff della hit di fine anni ’80 di Lil Louis, French Kiss, si sposa perfettamente con l’erotismo della voce di Robyn, qui in bilico tra dolcezza e pesanti sospiri.

È comprensibile già dal primo ascolto che Robyn ha dedicato anima e cuore a questo nuovo progetto, e attendere otto anni per ascoltare il risultato finale mi sembra il giusto compromesso per poter godere di un disco che risulta essere quasi vicino alla perfezione.

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