RE’VIEW: Gorillaz – “Cracker Island” (recensione album)

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28 febbraio 2023 di Fabrizio Re'Volver Daquino

Bad Bunny, Beck e Stevie Nicks sono solo alcuni degli artisti presenti nel disco più smart ed efficace della band cartonata di Damon Albarn.

Solo al pensiero vengono i brividi: sono trascorsi 22 anni dal singolo di debutto dei Gorillaz, “Clint Eastwood”. È da lì che un giovane Damon Albarn, star del rock alternativo e padre fondatore dei Blur, affiancato dal suo ex coinquilino Jamie Hewlett (che ha creato i cartoni animati), avvia un progetto che all’epoca avresti potuto pensare sarebbe stato uno scherzo di breve durata. Ma dopo quasi un quarto di secolo, i Gorillaz hanno realizzato tanti album in studio quanto la band principale di Albarn, ottenendo una serie di ingressi nella Top 10 americana, un doppio disco di platino negli USA e un Grammy.

Bisogna anche precisare il fatto che se al giorno d’oggi gli album dei Gorillaz non diventino più automaticamente disco di platino non è un riflesso della loro qualità.“Cracker Island” – così come con “Plastic Beach” e “Humanz” – è un album dei Gorillaz che parte da un concetto disconnesso dalla musica, basato su un culto quasi religioso. Ma ciò che rende questo album migliore dei suoi predecessori non è tanto il concetto su cui si basa, ma l’aver risolto il problema che ha perseguitato gli album dei Gorillaz in passato: una sovrabbondanza di collaboratori. La cattiva abitudine di Albarn di riempire eccessivamente i contenuti ha reso il più delle volte l’ascolto troppo ingombrante. Sebbene “Cracker Island” non lesina sulla partecipazione di grandi nomi come Bad Bunny, Tame Impala e Stevie Nicks, l’album si limita a contenere 10 tracce in 37 minuti. Inoltre, sembra musicalmente unificato, specialmente all’interno di un marchio synth-pop che solo occasionalmente vira verso riff futuristici.

Utilizza anche una certa sensibilità Albarn nel lavorare con i suoi ospiti. Spesso le collaborazioni pop finiscono per rivelarsi troppo radicate alla loro provenienza commerciale, facendo più attenzione al potere d’acquisto dei loro fan piuttosto che ai risultati musicali. Ma non è un’accusa che può essere lanciata a “Cracker Island”. Solo Bad Bunny si è preso la libertà di influenzare “Tormenta” con il suo reggaeton e la sua voce in lingua spagnola. Per il resto, c’è la netta sensazione che tutti lavorino al servizio delle canzoni che Albarn ha composto: il basso e i cori di Thundercat che si intrecciano attorno alla voce di Albarn nella title track; Stevie Nicks canta in modo improbabile in “Oil”; Beck e Adeleye Omotayo rafforzano, piuttosto che dominare, le esibizioni di Albarn su “Possession Island” e “Silent Running”. Di conseguenza, non c’è alcun calo di interesse quando le tracce sono prive di apparizioni: “Baby Queen” e “The Tired Influencer” offrono esempi particolarmente luminosi delle melodie malinconiche tipiche di Albarn.

Cracker Island” è un fantastico album pop che sottolinea due cose: l’illimitato potere creativo di Albarn a espandersi oltre i confini dell’alt-rock, e che 22 anni fa i Gorillaz non erano nati per essere uno scherzo di breve durata.

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